Procedure d’ingresso alla dogana lunghe… controllano tutti i bagagli, fanno anche il check di tutte le medicine (non si possono portare alcuni antidolorifici per il mal di testa, nè psicofarmaci), spulciano tra le foto e i video dei nostri cellulari (non ci deve essere niente riguardante la dogana). Perdiamo, come al solito, tanto tempo anche per interpretare il libretto della Lambretta originale… comunque sono molto gentili, ci accompagnano da un ufficio all’altro, cercando di spiegarci le varie procedure.
Terminata l’ispezione, sotto un sole cocente, proviamo a fermarci nell’unico hotel sulla strada, proprio fuori la dogana, un capannone enorme, pieno di gente che tenta di venderti qualsiasi cosa. La signora della cassa prova a fare la furba (vedendoci turisti) e ci chiede un prezzo esageratamente alto per passare la notte… decliniamo (non proprio gentilmente!) la proposta… finiamo cosi a dormire più avanti, in una sorta di ristoro, una bettola fatiscente sulla strada. Riusciamo però a dormire nella stessa stanza con la Lambretta… la ragazza che gestisce il ristoro sta in un cucinino rannicchiata a terra a cucinare, sopra delle pietre. Sta preparando dei ravioloni ripieni di carne e cipolle, a gesti gli facciamo capire che vorremmo assaggiare e così ceniamo direttamente in quello che sarà poi il nostro letto.


Ci attende il deserto con la strada dissestata (gli uzbeki chiamano questo lungo tratto safari), i colori del paesaggio polveroso tendono al giallo, all’ocra e al beige. Fa caldo e si fa fatica a respirare. Siamo soli, per ore non incontriamo nessuno, a farci compagnia solo dei simpatici animaletti tipo scoiattolo/topo che escono dai loro buchi nella sabbia, si rivolgono verso il sole e “chiacchierano” con il loro richiamo… a spezzare la monotonia ogni tanto volpi e falchi… mettiamo a dura prova gli ammortizzatori e le nostre schiene fino a raggiungere un paese Qon’Irat… a gesti chiediamo un posto per dormire e mangiare, ci fanno strada fino alla casa di Solfia, questo posto è usato dai vicini del quartiere per fare la sauna e la doccia, Solfia ha anche un piccolo cafè, così, dopo esserci rilassati in sauna, ci facciamo preparare qualcosa da mangiare. Carina e molto ospitale, Solfia ci fa vedere tutte le sue foto di compleanno, ci fa un sacco di domande, è curiosa di sapere qualcosa sull’Italia. Ci invita a cena con la sua famiglia,  mangiamo un piatto  tipico: riso saltato con carne e carote, rigorosamente mangiato con le mani, accompagnato con del thè. Dormiamo in una stanza “ammobiliata” con dei tappeti e un materassino colorato.

Il giorno dopo riprendiamo il nostro percorso su una strada a tratti migliore di quella del giorno prima. Sulla nostra destra, al confine con il Turkmenistan, vediamo in lontananza delle oasi di verde… ma noi sempre in mezzo al deserto di sabbia! Facciamo uno stop a Beruniy, e la scena si ripete: a gesti chiediamo posto per dormire, un taxista ci fa strada in mezzo alla campagna, finiamo in una sorta di azienda agricola, il tizio “si fa bello” e ci accompagna a mangiare… ci portano un pollo intero (buonissimo!!!) e della capra molto speziata. Ci rilassiamo…

Il giorno dopo accettiamo la sportina con la colazione che ci hanno preparato,  andiamo a rimediare benzina (da queste parti non si trova nelle stazioni, ma solo da privati, che ovviamente la vendono molto cara) e riprendiamo il nostro viaggio in mezzo al deserto: strade in costruzione, terra, asfalto, breccino… non mancano i dossi e le buche inaspettate… una tortura… parte un bullone dal cerchio e buchiamo! La strada è interminabile e il tempo non passa mai,  perché il panorama è sempre uguale… dal nulla sbucano fuori 3 ciclisti, tra cui un italiano che pedala da 4 mesi… ci facciamo forza, la città è vicina.

Uzbekista:il safari

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